destionegiorno
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Marinella Fois nasce a Portoscuso (CA) il 25/08/1943 e risiede a Sestu(CA). Ama la vita, i suoi colori, i suoi profumi . Si definisce “gabbiano solitario”, scrive i percorsi della vita con la penna del cuore. Scrive poesie, racconti, lettere. Ama il teatro, per il quale ha scritto una piccola ... (continua)
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Questi abiti vuoti mi dicono di te padre
di quei lunghi interminabili silenzi,
voragini profonde di tristezza
colme di solitudine e amarezza.
Io rubavo gli attimi al tempo
per darti tutto ciò che la vita
ti aveva strappato
come un ladro a viso... leggi...
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Sono umide foglie le labbra
che un tempo vermiglie
sulle mie fiorivano di passione.
Ora che il tempo la brocca ha vuotato
sostano unici sentimenti d’affetto.
Voglio ancora seguirti nel passo
mano nella mano
disegnare ombre nel parco del... leggi...
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Mi sovvien dalla baita solitaria
profumo di caldo pane
e mi riporta alla nonna
che alla fiamma l’impasto infornava...
e all’ondeggio dell’alte fronde
dei giovani cipressi
schierati sull’attenti.
Antichi custodi della valle
sollecitano il... leggi...
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Nuvole in testa
E vento nei... leggi...
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Siede il vecchio inverno al focolare
accanto alla mia nonna
solleticando il ceppo che
scoppiettante e allegro emana
antico odor di timo
di favole e mistero.
Entro la coltre
ascolto silenziosa
profumi e picchiettii
l’alba riposa ancora
la... leggi...
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Io nasco da voi
radici rigonfie di terra...
da voi che abitaste altri cuori
dove non crescevano fiori.
Alberi scossi da tempeste
scoloraste il lento peregrinare
di un amore addossato alle nuvole...
tirando corde di polvere
su paraventi di... leggi...
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Mi adagiai in un campo di grano
chiusi gli occhi e provai a volare...
mi compiacque il rumore del vento
che spettinava le chiome delle spighe...
spogliandole dei granelli d’oro
cadevano nel seno di papaveri dormienti
tra le erbe... leggi...
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Marinella Fois
Le sue 326 poesie
| Mi han svestita.
Trafugato il palpito che mi danzava in petto.
Un urlo di dolore squarcia l’anima.
Arrossiscono i vetri della vergogna.
Mi difendo.
Senza più cartucce il mirino del fucile inceppa sulla bocca schiusa.
Schiuma di
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| Mi nascondo dietro passi stanchi
dove scarpe sorde non fan più rumore.
Unico tormento vederti perso.
Mi arrampico su specchi scivolando l’altalena del reale.
Occhi mi guardano come a cercare verità
non favole addolcite di finti sorrisi
di risate
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| Ho provato a demolire il castello di sabbia
come ombra di onda capricciosa
che disfà merletti di ricamatrici di mare
e trine di sale e sole
meno distanti da manti di rubini e oro.
Di tramonti senza tempo.
Quieta nenia placa l’anima. Abbandona
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| La notte sorge. Non cade più.
Noi, l’uno all’altro affiancati
nell’immenso silenzio di quelli che vanno insieme.
Giorno e notte. Notte e giorno.
Da Via Del Corso
siamo lontani dal rumore del mondo.
Il cielo, tutto per noi, ha l’eternità di
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| Fu così che inebriai l’olfatto.
Pensandoti.
Profumavi di vigna. Di foglie di fico.
Genuflesso carezzavi filari di viti.
Favorivi travagli sverginati da trecce di Dio Sole.
Insieme assistevamo al parto.
Mietevamo frutti d’oro e rubino.
Infiammava
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| Sono tutto e sono niente.
Sono il presente.
Un libro aperto ai più.
Un racconto mai scritto.
Una fiaba mai letta.
Chiunque potrà sfogliare le mie pagine.
A nessuno è concesso ricopiare
né cantare stagioni ancora da sfogliare.
Sono
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| Vagheggio tra nuvole di panna.
Mentre un timido rossore mi svergogna
libero il gabbiano che mi abita.
Timidamente mi soffermo a pelo d’acqua.
Nello specchio di mare azzurro mi rifletto.
Mi disseto di sole e sale.
Dirigo ali verso colline di rose
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| Anche oggi ti sei lavato la bocca
gettandomi addosso
tutto il tuo veleno.
Senza misurare parole con la metrica
hai incrociato vocali e consonanti
facendone ragnatela
dove potermi imprigionare.
Sei l’opposto del mio universo
sei quanto non
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| La mia campana è sorda.
Non canta più.
Anch’io non scrivo più.
Non racconto più di primavere novelle
sdraiate al sole di perduti suoni.
Il morso di un calabrone mi danza l’anima
a suggere quel che resta del mio nettare.
Ombreggia un pino
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| Giocando la partita con la vita
ti sei perso
ti han fatto scacco matto.
E tu che credevi d’esser re
sul cocchio arroccato sei rimasto
corona sul capo hai tenuto
a capeggiare sudditi fantasmi e ombre plebee.
“Desolato cuore che una notte
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| Non adagiarti su gradini consunti
di una chiesa sconsacrata come a chiedere questua.
Abbi fede
la preghiera è il miglior balsamo che consola
cuori afflitti in abbandono.
Spiga di grano mietuto è il tuo tempo.
Srotoliamo balle di fieno
a
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| Vorrei andare
far tacere il silenzio
ma il mio passo cerbiatto già offeso
non ha tracce ne sentieri su cui nidificare.
Unirmi al gregge che in transumanza
al pascolo va?
La mia indole mi riporta a riflesso...
Tornare sui miei passi
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| Fermo alla stazione del tuo tempo
vagoni di stagioni ti sfrecciano avanti
gettando da finestrini schiusi al rumore
ricordi appassiti
che stridono contro il volere del destino.
Sei l’uomo senza paltò con capello di paglia.
Scosto la tende di
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| Dalla terrazza uno zoccolo di cielo
spiaggiato sulla rena.
Ah mare se la tua chioma spumeggiante
mi potesse scivolare sulla pelle
il tuo occhio azzurro mi farei tatuare
e sul corpo le grandi labbra posare.
Di destra a manca
mani di quarzo e
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| Mi ingabbia tormenta di neve
senza igloo riparo non trovo
grido aiuto ai soldati di Dio
in soccorso mi giungono con ali di cielo
a sdrucire mostruoso notturno pensiero.
Vien giù dal monte ignorato tempo
ad ognuno hanno tolto un eroe
e se
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